Il nostro sistema pensionistico ha subito negli anni numerose riforme, tutte con l’intento di spostare la sua connotazione da sistema a ripartizione in uno molto più sostenibile definito sistema a capitalizzazione.
Fino all’abbandono, nel 1995, della modalità di calcolo dell’importo pensionistico mediante il criterio retributivo, infatti, l’intero impianto previdenziale presentava le caratteristiche tipiche del primo sistema prima enunciato. In base ad esso, veniva attuata la cosiddetta “solidarietà generazionale” ovvero, le pensioni erogate erano finanziate mediante i contributi pagati da chi ancora svolgeva attività lavorativa. Tuttavia, l’aumento dell’aspettativa di vita e la crisi economica che causava un aumento della disoccupazione, hanno messo in crisi questo sistema rendendolo non più sostenibile. Per questo motivo, diversi interventi del legislatore hanno cercato di far fronte al rischio di collasso, dapprima limitandosi ad aumentare i requisiti anagrafici e poi riformando tutto il metodo di quantificazione della pensione erogata. Con la riforma “dini” L. 335/1995, è stato introdotto il criterio di calcolo contributivo abbandonando quello retributivo. In questo modo si è determinato il passaggio definitivo al sistema a capitalizzazione. Caratteristica fondamentale di questo nuovo impianto è quello dell’autofinanziamento delle pensioni future. I Contributi versati periodicamente dai lavoratori vengono accantonati in un fondo. Gli stessi, annualmente vengono rivalutati in modo da incrementare progressivamente e determinare un certo montante. Raggiunti i requisiti pensionistici, il fondo rivalutato viene rimborsato in quote mensili. Pertanto, in senso inverso, i contributi da versare periodicamente, sono determinati mediante un calcolo attuariale in modo da garantire una certa somma futura.
La riforma del 1995, ha quindi sancito un punto di svolta per il nostro sistema pensionistico dividendo i lavoratori in due categorie in base al momento di prima iscrizione alla previdenza obbligatoria: pre 31/12/1995 e post 31/12/1995. Le due divergono in termini di requisiti per accesso alla pensione e modalità di calcolo dell’importo erogato.
Ulteriori normative successive, hanno introdotto delle importanti novità che hanno da un lato, ulteriormente inasprito i requisiti per accedere alla pensione, ma dall’altro hanno cercato di tutelare alcune categorie di soggetti riconoscendo loro dell’agevolazioni di uscita dal mondo del lavoro. Tra le più importanti, troviamo innanzitutto la legge finanziaria del 2010 introduttiva del “meccanismo di adeguamento alla speranza di vita” in base al quale vengono rivisti in aumento i requisiti di accesso, adeguandoli alla stima effettuata ogni due anni dall’ISTAT in merito alla prospettiva di vita degli italiani.
Ulteriore intervento legislativo molto importante e cruciale e la cosiddetta “riforma fornero” (L. 214/2011). Tra gli interventi di maggiore rilievo, tale atto normativo, ha esteso il criterio di calcolo contributivo per tutti a far data dal 01/01/2012 e l’adeguamento alla speranza di vita a tutte le forme di previdenza.
Ultimo passaggio evolutivo del sistema pensionistico italiano è avvenuto con la L. 145/2018. La stessa ha cercato di agevolare l’uscita dei lavoratori più anziani dal mondo del lavoro per favorire il ricambio generazione. Innanzitutto ha introdotto, in via sperimentale fino al 31/12/2021, la cosiddetta “Quota 100”, nuovo criterio agevolativo per accedere alla pensione. Inoltre, ha congelato il meccanismo dell’adeguamento alla speranza di vita fino al 31/12/2026.
Dopo questa breve introduzione circa l’intricato panorama pensionistico italiano, cerchiamo ora di entrare nello specifico dei vari punti salienti in vigore ad oggi dandone una spiegazione il più semplice possibile.
Nel file allegato sono presenti delle semplici tavole che riassumono: I requisiti per l’accesso alle prestazioni pensionistiche, le agevolazioni ad essi inerenti e le modalità di calcolo dell’importo.